...La neve verrà leggera come piume d’oca, soffermandosi prima sugli alberi, quindi filtrerà tra i rami posandosi sui cortinari gelati, sugli arbusti di mirtillo, sul muschio come velo di zucchero nella torta. Le lepri, i
caprioli, i cervi staranno immobili a guardare il nuovo paesaggio. Le volpi dentro la tana spingeranno fuori il naso per fiutare il nuovo e antico odore che ritorna. Ma quanto sarà tutto bianco, si ricorderanno gli scoiattoli dove hanno
nascosto le provviste? Il vecchio urogallo dello Scoglio del Tasso volerà sull’abete dove generazioni della sua famiglia hanno aspettato la primavera nutrendosi delle sue foglie. Il bosco sarà immerso in un tempo irreale e io andrò a
camminarci dentro come in sogno. Molte cose mi appariranno chiare in quella luce che nasce da se stessa.
Verrà, verrà il caro scricciolo sulla catasta di legna ad annunciarmi la prima neve come quanto ero ragazzo con il suo tictictic ripetuto più volte, e il suo campanellino nascosto nella gola si sentirà anche lassù dove le nuvole compatte e
bianche aspettano il segnale.
(Mario Rigoni Stern Inverni lontani, Giulio Einaudi editore, Torino, 1999)
Sulla montagna nel gelido mattino d’inverno la neve scintilla alla luce radente del sole che sale dal basso orizzonte, riverberando in un’infinità di spere scintillanti che impreziosiscono ogni dosso, ogni piega del suolo. Il gelo, la neve, la
luce, la bellezza del mondo. In più è così piacevole sciare sulle pendici ancora intatte, armonizzando il gesto sportivo alle forme della montagna, alle sue conche, scarpate, dorsali distese. Il mondo come spettacolo.
Ma poi il sole si
alza e si eleva la temperatura: l’inversione termica trattiene negli strati d’aria più alti il calore solare e la neve comincia a mutare. I cristalli luminosi del primo mattino si afflosciano, la neve non tiene, si ammolla, si
scioglie. In seguito, con il sole ormai alto, diventa impossibile sciare e dappertutto si sentono scorrere rivoli d’acqua. Finito lo spettacolo, la purezza della neve, finita la glaciazione. Comincia la deglaciazione, il passaggio dal minerale
al biologico, dal cristallo puro che riflette il sole alla goccia che alimenta la vita, la sfera biotica, la storia: la coscienza delle forme viventi periture, figliate dal tempo, di fronte alla purezza glaciale, geologica, senza tempo.
(Eugenio Turri, Taklimakan, Tararà Edizioni, Verbania, 2005)
Montagne! che siete belle, purissime, nelle albe violacee,
Frementi negli arrossati tramonti.
I vostri picchi strapiombanti nelle nevi eterne io amo,
I vostri ghiacciai silenziosi.
Vorrei stare tra i giganti – i giganti di rocce che vanno
nel cielo,
I frementi giganti che cantano le silenziose canzoni
dell’infinito,
I giganti che ascoltano le cupe leggende dei ghiacciai,
Venute come uno strano mormorio dal seno dei
crepacci profondi.
Montagne divine, che nulla è più bello, regine della libertà
e dell’infinito (...)
Dino Buzzati
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